
Tripofobia, che cos'è, quali sono le sue cause e come si può combattere - Pexels @Chris F - Mentiscura.com
A scatenare la paura sono soprattutto i buchi, ma possono anche essere piccoli rettangoli, cerchi convessi o altre particolari forme che si ripetono.
Nei casi più gravi, la tripofobia può provocare sintomi fisici o attacchi di panico in piena regola, con sudorazione fredda, battito cardiaco accelerato, mancanza di respiro e nausea.
In generale, il soggetto tripofobico prova timore o non tollera la vista di aggregati di oggetti, naturali o artificiali, in grado di creare pattern con buchi, di solito, molto vicini tra loro e di una certa profondità.
Chi soffre di tripofobia spesso teme la vista di cose ordinarie, di uso comune, apparentemente innocue. Le immagini che generano reazioni repulsive sono molte e comprendono:
- Bolle di sapone (se l’una è attaccata all’altra possono ricreare una forma simile a quella di un favo dell’alveare);
- Spugne da bagno;
- Formaggio svizzero tipo Emmentaler;
- Tavoletta di cioccolato aerato;
- Baccello di un fiore di loto;
- Fori in un muro di mattoni;
- Tubi impilati;
- Coralli;
- Follicoli piliferi;
- Pori della pelle;
- Soffioni della doccia;
- Fragole;
- Melograni
La maggior parte delle fobie sono causate da esperienze traumatiche vissute o riconoscono radici culturali. Tuttavia, questo non sembra essere il caso della tripofobia.
Questa forma di paura morbosa rappresenta, infatti, una generalizzazione di una risposta a stimoli innocui, ma con caratteri simili a minacce effettivamente dannose (es. animali velenosi, infezioni, parassiti ecc.), apprese nel corso dell’evoluzione.
I primi studi sulla tripofobia sono stati condotti da un gruppo di scienziati dell’Università dell’Essex, coordinato da Geoff Cole e Arnold Wilkins, esperti in scienza visiva.
La ricerca pubblicata sulla rivista Psychological Science sostiene che questo disturbo non dipenda da cause psichiche, ma da motivi che sembrano risalire ad un meccanismo di sopravvivenza acquisito dai nostri antenati.
Questa fobia deriverebbe, in particolare, da una reazione primitiva trasmessa nel corso dell’evoluzione, quale risposta di difesa nei confronti di un potenziale pericolo.
In questa reazione istintiva, una porzione del cervello segnalerebbe alle persone quelle immagini che richiamano alla mente le macchie o i buchi presenti su piante e animali velenosi, da cui l’uomo doveva difendersi in natura, come alcuni ragni e serpenti, il polpo dagli anelli blu, lo scorpione giallo e così via.
Secondo gli studiosi, dunque, all’origine della tripofobia sussisterebbe una base biologica ereditaria, che avvalora una spiegazione evolutiva: i modelli visivi che innescano i sintomi della fobia sono simili a quelli evocati da piante o animali pericolosi e potenzialmente letali, che possono nascondersi nei buchi o in piccoli anfratti.In tempi più recenti, alcuni psicologi dell’Università del Kent (ateneo di Canterbury), coordinati dal professor Tom Kupfer, si sono concentrati su un altro aspetto della tripofobia.
Nelle persone sottoposte a questo studio scientifico, è stato osservato che la visione dell’insieme dei buchi generava principalmente una sensazione di disgusto più che di paura.
Simbolicamente, ogni cavità rappresenta un luogo di scambio fra il mondo interno e quello esterno, quindi sede di una possibile contaminazione.
La tripofobia sembra scaturire, in particolare, da un’intensa repulsione nei confronti delle malattie caratterizzate da eruzioni circolari sulla pelle (come vaiolo, morbillo, rosolia ecc.).
I partecipanti allo studio riportavano, inoltre, una fastidiosa sensazione, come se la pelle fosse infestata da parassiti o insetti, pur avendo la consapevolezza che ciò non poteva essere reale
La paura di una potenziale contaminazione – non a caso – ha spesso anche a che vedere con gli insetti, animali che sono oggetto frequente di fobie specifiche, come quella dei ragni (aracnofobia).
I sintomi e la gravità variano da persona a persona ma, in generale, la tripofobia si manifesta con disagio, repulsione o senso di disgusto nei confronti dei buchi. L’avversione verso fori molto ravvicinati può generare stati d’ansia e, nei casi estremi, attacchi di panico.
Nonostante non siano ancora stati stabiliti dei criteri per una diagnosi clinica, la valutazione del soggetto tripofobico è fondamentale per comprendere i motivi alla base del disagio, identificandone il significato e quantificandone la portata.
La tripofobia può essere può essere affrontata con diverse opzioni terapeutiche (psicoterapia, tecniche di rilassamento, farmaci ecc.), anche in combinazione tra loro.
Quest’interventi hanno l’obiettivo di indurre il paziente a razionalizzare la propria fobia, cercando di concentrarsi sulla possibilità di reagire ai pensieri ansiogeni e di affrontare le convinzioni negative associate alla paura dei buchi.
Un approccio risultato efficace nel trattamento della tripofobia è la presentazione degli stimoli fobici al paziente in condizioni controllate, fino ad ottenere una desensibilizzazione sistemica.La terapia comporta l’esposizione graduale e ripetuta nel tempo a figure, oggetti e superfici che presentano pattern geometrici, per affrontare le idee negative associate alla paura dei fori.
La desensibilizzazione può essere praticata in combinazione con tecniche cognitive e comportamentali, allo scopo di modificare il circolo vizioso della tripofobia e lavorare sul significato dei buchi per il paziente.
In questo modo, il soggetto tripofobico viene esposto alle situazioni temute, con la possibilità di apprendere delle tecniche di autocontrollo emotivo, che gli permettono di ridimensionare la propria paura.
Per affrontare la tripofobia in modo efficace, la psicoterapia può essere praticata in associazione alle tecniche di rilassamento, quali training autogeno, esercizi di respirazione e yoga.
Questi trattamenti possono contribuire a gestire l’ansia correlata alla paura dei buchi. Infine, la terapia farmacologica viene prescritta da un medico psichiatra nei casi più gravi, soprattutto per controllare i sintomi di patologie associate al disturbo fobico come depressione e ansia.
I farmaci che vengono solitamente indicati sono le benzodiazepine, i beta-bloccanti, gli antidepressivi triciclici, gli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI) e gli inibitori delle monoamino-ossidasi (MAOI).